Ambra Pozzi

Ambra Pozzi

AMBRA POZZI

Ex studentessa del Liceo “A. Calini”

Mi chiamo Ambra Pozzi, sono nata a Brescia e ho vissuto a Brescia per i primi 27 anni della mia vita. Sono un’ex caliniana (classe 1985) e sono davvero fiera di aver ricevuto il diploma da questo “mitico” liceo.

Gli anni del Calini, i mitici anni Ottanta, sono stati davvero importanti per me. 

La mia più grande fortuna è stata quella di aver conosciuto ragazzi e ragazze fantastici, con i quali ho condiviso gioie e dolori per cinque anni, che tuttora sono parte della mia vita (ci definiamo “amici per sempre”) e con i quali mi sento regolarmente via WhatsApp. 

La mia seconda fortuna si è presentata in prima liceo quando, dopo un’interrogazione un po’ pietosa risultata in una “sufficienza proprio tirata”, la prof.ssa di italiano mi ha chiesto “Pozzi, tu studi a casa?”. Per un attimo il mondo ha smesso di girare su sé stesso e la sensazione di una doccia gelata mi ha accompagnata fino a casa, quando in lacrime ho detto ai miei genitori e a mio fratello Flavio che volevo ritirarmi e andare a lavorare. Ricordo che Flavio in tutta calma mi disse di continuare e di dare il massimo di me stessa e poi decidere a giugno se continuare o smettere le scuole superiori. Quell’anno e tutti gli anni successivi sono stata promossa e ho imparato che senza impegno e costanza (e a volte un pizzico di fortuna) non si va molto lontani!

Dopo il diploma, ricevuto nel 1985, mi sono iscritta a Biologia all’Università degli Studi di Milano e per cinque anni ho fatto la pendolare: sveglia alle 6, treno alle 7:35, giornata in università, treno alle 18:50, cena in famiglia e poi di nuovo, tutto daccapo. Gli anni dell’università sono davvero volati perché mi sono iscritta ad un corso che ho sempre amato e che mi ha permesso di specializzarmi in uno dei miei campi favoriti: la biochimica! Dopo la laurea, ottenuta nel 1990 a pieni voti e con la lode, ho avuto la fortuna di ricevere un’offerta per una posizione di dottoranda presso l’Università degli Studi di Brescia. Niente più pendolare, posto garantito per tre anni e con uno stipendio. Mi sentivo al settimo cielo!

Tre anni dopo la laurea, il prof. che mi aveva offerto la posizione di dottoranda a Brescia mi chiese se fossi interessata ad uno “stage” all’estero. Per me la parola “estero” si riferiva alla Francia, alla Svizzera o, se proprio avessi voluto osare ed esagerare all’Inghilterra, ma quando il prof. mi disse San Diego, California, mi sono sentita il cuore in gola… America! Così nel lontano 1993 ho preparato due valigie (una piena di cibo italiano, chiaramente!) e sono partita per il Far West. Ricordo il viaggio Milano-Los Angeles, seduta in un aereo quasi vuoto con una tendina che separava il settore fumatori dai non fumatori. Ricordo che non riuscivo a leggere il menù (eh si, a quei tempi l’Alitalia offriva un menù con varie scelte) perché i miei occhi erano troppo pieni di lacrime. Ho pianto così tanto che ad un certo punto il comandante (probabilmente avvisato dall’impietosita assistente di volo) si è seduto vicino a me chiedendomi se volessi vedere la cabina di pilotaggio e volare un po’ con lui e il copilota. È stata un’emozione che non dimenticherò mai e che nessuno purtroppo, dopo il tragico 11 settembre, potrà più provare. Dopo aver visto il Canada dalla cabina di pilotaggio, il comandante mi regalò un centesimo dicendomi di ricordare quell’esperienza nei momenti difficili o tristi. Come potete ben immaginare, ho ancora quel centesimo!

Quando partii per la California, l’idea era finire il dottorato di ricerca e poi ritornare in Italia. Due anni di training all’estero sono diventati trenta anni di un’incredibile esperienza di lavoro e di vita. I primi anni di vita in America non sono stati facili. Il mio inglese era abbastanza rudimentale e i miei colleghi pensavano che fossi un po’ “lenta”, semplicemente perché non riuscivo a parlare o ad esprimermi. Quando sono partita non c’erano cellulari, Facetime, WhatsApp o Twitter e internet era allo stato primordiale. Le telefonate internazionali costavano un patrimonio e il mio salario (allora in lire) era sufficiente per l’affitto e il cibo (comprato nei supermercati di convenienza). All’epoca non potevo permettermi una pizza o un caffè con amici o colleghi di lavoro, per cui passavo le mie giornate in laboratorio o a casa. Scrivevo lettere a mano e aspettavo in grazia una risposta, che di solito arrivava entro due o tre settimane. Ma, come dice Kelly Clarkson in una delle sue canzoni, “What does not kill you makes you stronger” e quest’esperienza californiana mi ha resa più forte e indipendente.

Da San Diego, California, a Nashville, Tennessee. 

Se una persona qualunque mi avesse chiesto di lasciare la mitica California per il Tennessee (conosciuto principalmente per il famoso Jack Daniel's Tennessee Whiskey) avrei probabilmente fatto finta di non sentire o mi sarei chiesta se quella persona fosse un po’ pazza. Ma quando la persona che te lo chiede è il tuo fidanzato, le cose sono un po’ diverse. Ho conosciuto Roy, un medico biologo di Johannesburg, a San Diego. Come me Roy lavorava allo Scripps Institute e dopo lunghe passeggiate con la scusa di parlare di scienza o di conoscere un po’ di più la cultura italiana e sudafricana, Roy e io ci siamo sposati a Torrey Park a San Diego. Abbiamo poi attraversato parte dell’America in macchina per iniziare la nostra vita di ricercatori indipendenti a Vanderbilt University School of Medicine in Nashville, Tennessee.

Ho iniziato ventitré anni fa a Vanderbilt come “Assistant Professor” e oggi sono Professoressa di ruolo nel dipartimento di Nefrologia. Mi occupo di ricerca scientifica e in particolare studio i meccanismi di fibrosi renale. Il mio obiettivo è studiare gli eventi molecolari che rendono i reni fibrotici dopo un danno o conseguentemente a malattie. Se capiamo gli eventi cellulari o molecolari che portano alla fibrosi renale, c’è la possibilità di generare terapie specifiche e mirate con la speranza di bloccare o rallentare lo sviluppo della fibrosi. Purtroppo, nonostante anni di ricerca, non ci sono ancora terapie efficaci contro la fibrosi renale così quando i reni diventano fibrotici non possono più filtrare il sangue e rimangono solo due soluzioni possibili: la dialisi o il trapianto renale. L’ironia della sorte è che i reni di mia mamma Silvana dopo il COVID e dopo molti anni di pressione alta hanno ceduto e da due anni Silvana fa dialisi tre volte alla settimana. Immaginate: se la “pillola” magica contro la fibrosi esistesse, Silvana e molti altri pazienti con malattie renali potrebbero condurre una vita normale.

Uno dei miei “amici per sempre” mi ha mandato un link via WhatsApp dicendomi che ero su Wikipedia e che ero la prima della nostra classe a “diventare famosa”. Non so chi abbia preso l’iniziativa di scrivere di me e della mia carriera su Wikipedia, ma devo dire che la descrizione è accurata e precisa. Così, se voleste dare un’occhiata, vi lascio il link https://en.wikipedia.org/wiki/Ambra_Pozzi

Faccio solo ricerca? La risposta è no. Insegno corsi specialistici a studenti iscritti a Medicina o alla doppia laurea Medicina/Biologia. Quindici anni fa Roy e io abbiamo iniziato a Witwatersrand University in Johannesburg, Sudafrica un corso dove insegniamo a redigere un progetto di ricerca partendo da un’idea scientifica in modo da ricevere fondi che lo sovvenzio

 

nino. Inoltre, faccio da revisore scientifico per il National Institute of Health e per il Veteran Affairs. Infine, sette anni fa ho avuto il privilegio di essere stata invitata da Telethon a fare da revisore scientifico e due volte all’anno ritorno in Italia per discutere il merito scientifico di progetti su malattie genetiche rare.  

Il lavoro è importante, ma bisogna anche dedicare tempo a sé stessi. Io, spinta da Roy, ho iniziato a correre dieci anni fa e oggi adoro correre mezze maratone. Correre è una passione che mi permette anche di avere un secondo passatempo: fare e mangiare dolci! Cucinare un dolce è come fare un esperimento: si mettono insieme alcuni reagenti, si incuba il tutto nel forno e si attende con ansia il prodotto. Il bello è che, il più delle volte, si può mangiare il risultato finale! 

Un mio consiglio? Se avete un sogno non abbiate paura ad esaudirlo. Anche se il sogno richiede immensi sacrifici, non abbiate paura ad aprire le ali e a volare. C’è sempre un vento favorevole che vi permette di non precipitare e di raggiungere la meta. Io ho iniziato un sogno trenta anni fa e sto ancora sognando.