Alberto Dalla Volta

 

Ad Alberto Dalla Volta, allievo del liceo “Calini”, è stata intitolata l’Aula Magna. Fu il bresciano che salvò Primo Levi.

Di seguito si riporta una breve biografia scritta dal nostro prof. Fabio Larovere, coi ringraziamenti alla famiglia per la concessione della documentazione fotografica.

Alberto (porto di Desenzano).

    

“L’uomo forte e mite contro cui si spuntano le armi della notte” Alberto Dalla Volta, allievo del liceo “Calini”, il bresciano che salvò Primo Levi di Fabio Larovere “Ho sempre visto, e ancora vedo in lui, la rara figura dell’uomo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte”. Con queste parole Primo Levi nel suo capolavoro “Se questo è un uomo” ricorda Alberto, colui che gli fu amico più caro nell’inferno del lager, colui che letteralmente gli salvò la vita (così riferisce la sua biografa Carole Angier). Molti di noi, che hanno accostato le pagine di Levi, ricordano nitidamente questa figura, ma non tutti sanno che questo amico, Alberto Dalla Volta, era bresciano.

In tutti i suoi scritti Levi cita l’amico solo per nome o, tutt’al più, con l’iniziale del cognome. Questo per espressa richiesta dei familiari che, una volta conclusa la guerra e conosciuto Primo Levi, non accettarono mai il fatto che da quello stesso inferno che aveva restituito Primo, Alberto invece non sarebbe mai tornato. Tutti conosciamo Alberto grazie ai libri di Levi, ma non tutti sapevamo il resto della sua storia, quella che lo scrittore non ha potuto riferire, quella che appartiene ai suoi anni bresciani, che riguarda il suo arresto, la sua famiglia. Questa storia l’ha raccontata con dovizia di particolari ed un lavoro insieme rigoroso ed appassionato Marino Ruzzenenti nel saggio dal titolo “Alberto Dalla Volta, l’eroe di Auschwitz, il primo ebreo catturato a Brescia dai fascisti”, pubblicato nel volume “La capitale della Rsi e la Shoah”, edito nel 2006 nella collana “Studi bresciani. Quaderni della Fondazione Micheletti”.

I Dalla Volta, di ascendenza ebraica ma cattolici, sono originari di Mantova e vivono a Brescia dal 1936.

Piazza Vittoria fascista negli anni ’30. In evidenza a sinistra la statua del “Bigio” (1932).

Il primo dicembre 1943, su iniziativa dello zelante questore Manlio Candrilli, comincia nella nostra provincia quella che Ruzzenenti chiama la “caccia all’ebreo” ed il primo ad essere catturato è Guido Dalla Volta, padre di Alberto, uomo noto in città, dove gestisce un negozio di forniture mediche e ricopre ruoli di rilievo professionale e istituzionale. Alberto, che ha ventun anni ed è studente di chimica all’Università di Modena, si precipita in questura per offrirsi al posto del padre, ancora pensando che potesse essere mandato ai lavori forzati. Con lui viene arrestato e spedito prima a Fossoli, quindi ad Auschwitz. Alberto incontra Primo già nel campo italiano, ma è ad Auschwitz che il loro legame si fa intenso. “Alberto è il mio migliore amico – scrive Levi in “Se questo è un uomo” -. Non ha che ventidue anni, due meno di me, ma nessuno di noi italiani ha dimostrato capacità di adattamento simili alle sue. Alberto è entrato nel Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze,non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo. Lo sostengono intelligenza e istinto: ragiona giusto, spesso non ragiona ed è ugualmente nel giusto (…) Lotta per la sua vita, eppure è amico di tutti. “Sa” chi bisogna corrompere, chi bisogna evitare, chi si può impietosire, a chi si deve resistere. Eppure (e per sua virtù oggi ancora la sua memoria mi è cara e vicina) non è diventato un tristo”. Alberto e Primo, che lavorano insieme nei laboratori vicini al campo di concentramento, sono legati da uno strettissimo patto di alleanza, insieme escogitano mille strategie di sopravvivenza, di cui Levi riferisce in diverse sue opere: il furto di carta millimetrata dai termografi per offrirla, dietro compenso, ai medici del Kabe per i diagrammi polso – temperatura; l’esame di chimica, preparato insieme per accedere al Kommando 98, privilegiato, e magari al laboratorio della Buna (un lavoro al caldo che salverà Levi nel duro inverno ’44 – ’45); il “mercato nero” delle lime e tante altre vicende.

Piazza Vittoria fascista negli anni ’30

Ad Auschwitz Alberto mantiene piena la sua dignità e la sua umanità, diventando un punto di riferimento per molti. Ma il dramma incombe. Nell’autunno del ’44 un colpo durissimo: Guido Dalla Volta viene selezionato per la camera a gas. La notte del 18 gennaio 1945, a causa dell’approssimarsi delle truppe russe, le SS decidono l’evacuazione di Auschwitz; Primo, ammalato di scarlattina, viene abbandonato nel campo, mentre Alberto viene fatto partire insieme a tutti coloro che sono in grado di camminare. Il giovane Dalla Volta non era stato contagiato perché la scarlattina l’aveva già contratta da piccolo. Scompare durante la marcia di evacuazione del campo. Levi, una volta rientrato in Italia, raccolse testimonianze su quella marcia e su come i tedeschi, chilometro per chilometro, andavano uccidendo pressoché tutti i prigionieri. Questa fu la sua dolorosa convinzione anche in merito alla sorte dell’amico, ribadita in un racconto scritto poco prima del suicidio, nel 1985 (“Pipetta da guerra”), ma la madre di Alberto, Emma Viterbi, e il fratello minore Paolo non accettarono mai questa verità, tanto da compromettere i rapporti con Levi.

Guido, Emma, Alberto e Paolo (Madonna di Campiglio, 1938)

Loro, che si erano salvati perché nascosti presso una famiglia di Magno di Gardone Valtrompia, cercarono a lungo sia Alberto che Guido, interessando, tra gli altri, il Vaticano attraverso l’allora cardinale Montini. Levi, dal canto suo, in “Sommersi e salvati” scrisse: “Sono passati più di quarant’anni; non ho più avuto il coraggio di ripresentarmi, e di contrapporre la mia verità dolorosa alla “verità” consolatoria che, aiutandosi l’uno con l’altro, i parenti di Alberto si erano costruita”.

A oltre sessant’anni dalla conclusione della guerra, la famiglia Dalla Volta ha trovato la forza di riaprire quella pagina drammatica della sua storia. L’occasione, accanto alla pubblicazione del saggio di Ruzzenenti, è stata offerta dalla decisione del Liceo Scientifico Calini di intitolare la propria aula magna ad Alberto Dalla Volta. Decisione motivata dal fatto che proprio al Calini Alberto si diplomò nel 1941 e, quasi un segno del destino, nella classe quinta “E” del liceo di via Montesuello nel 2008 si è brillantemente diplomato un ragazzo che si chiama Alberto Dalla Volta ed è il pronipote dell’Alberto di Primo Levi. Alla cerimonia di intitolazione svoltasi nel gennaio 2008 Alberto junior ha suonato al pianoforte un Notturno di Chopin e una Barcarola di Ciaikovskij, brani che il prozio suonava ed amava particolarmente. La scuola intera ha condiviso la scelta di intitolare l’aula magna a questo studente speciale. Pare che Alberto senior provenisse dal liceo classico “Arnaldo”, dove avrebbe frequentato i primi due anni, per trasferirsi poi al Calini in seguito all’emanazione delle leggi razziali nel 1938.

Paolo, Alberto e Emma nell’appartamento di piazza Vittoria (grattacielo)

Dai documenti conservati nell’istituto risulta che Alberto, ragazzo schivo e riservato, aveva un profitto medio alto, eccelleva in tutte le materie scientifiche, in educazione fisica e cultura militare. Aspetti che, accanto ad eccezionali doti morali, saranno decisivi per resistere nella drammatica esperienza del lager.